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Le operazioni navali italiane nella prima guerra d'indipendenza (1848-49)

Se si consultano i libri di testo scolastici, si è portati a pensare che la prima guerra di indipendenza sia stata dapprima e quasi esclusivamente  una serie di operazioni per lo più di carattere terreste, viene soprattutto messo l’accento  sui fatti avvenuti tra l’Austria ed il Piemonte. Venezia e la sua resistenza se pur citati restano come avvolti in una nebbia di ricordi sbiaditi per cui il lettore non trova il modo di approfondire né è stimolato a farlo. Venezia si ribellò per prima all’Impero Asburgico e precisamente il 17 marzo 1848. Infatti quel giorno dopo le notizie  dei moti di Vienna i veneziani iniziarono a  protestare al fine di ottenere la liberazione di Manin e Tommaseo. La rivolta, oltre che veneziana si può definire, senza ombra di dubbio, anche italiana in quanto contribuirono ad essa oltre ai cittadini di moltissime città venete anche a Napoletani, Romani e moltissimi volontari Svizzeri, Polacchi,Istriani, Dalmati e Ungheresi, perfino Tedeschi Insomma la difesa della città rappresentò, per tutte le nazionalità oppresse dall’impero, la  difesa della bandiera della libertà, ma  i Veneziani forse presi dalla gioia della riconquistata libertà non rifletterono a sufficienza formando un governo esclusivamente composto da Veneziani e proclamarono la rinascita della Repubblica di San Marco, cosa che causò  incomprensione e dubbi in Piemonte. Venezia rifiutò di formare un Governo unitario del Lombardo Veneto, né formò un governo con tutte le atre città venete che si erano ribellate al giogo Austriaco. Altro errore che possiamo definire  gravissimo, ma non il solo, fu di consentire alle truppe Austriache di lasciare la città con le proprie armi, a bordo dei vapori del Lloyd di Trieste oltre a consentire l’allontanamento dei Governatori Austriaci militari e civili della città. Dette truppe disarmate e trattenute ,insieme ai propri Comandanti avrebbero rappresentato ottimi ostaggi da poter scambiare con i militari veneti che l’impero utilizzava per la repressione dei moti rivoluzionari in Ungheria ed in Germania. Inoltre non si pensò assolutamente all’immediato richiamo delle navi della flotta Austriaca che avevano equipaggi e Comandanti per lo più Veneziani o Dalmati di origine veneziana cosicché l’Austria, una volta sostituiti gli equipaggi si trovò nella condizione di poter ricostruire  una  buona marina da guerra. Prima il Solera fu a capo del ministero della guerra mentre era a capo di quello della marina il Paolucci ma non esisteva a Venezia un ammiraglio capace di concepire un piano globale di guerra da utilizzare contro la Marina Austriaca Le notevoli risorse  a disposizione per la difesa della città vennero utilizzate solamente nella difesa della laguna, lasciando poi la possibilità all’impero di giungere a poche miglia dalla città con le sue navi, lasciandogli libera la possibilità dell’iniziativa, ma come vedremo questo non sarà un errore solamente veneziano. Cosa nota è, il fatto che gli austriaci dopo lo scoppio dei moti a Vienna ed in tutte le province dell’Impero si erano trovati veramente sbandati ma successivamente ripresero fiato dopo la sconfitta di Custoza. L’anno successivo, dopo la definitiva sconfitta piemontese di Novara 23 marzo 1849, saltata la copertura francese Venezia resistette ancora ma dovette capitolare il 22 agosto1849.

 

La situazione delle forze navali Italiane.

La rivoluzione e la prima guerra di indipendenza nel 1848 furono una vera e propria sorpresa per tutti. Restarono sorpresi gli  Austriaci che in pochi giorni persero  tutto il veneto meno Verona e parte della flotta, restarono sorpresi gli stessi Veneziani che pertanto non seppero approfittare del momento favorevole, fu sorpresa per il Piemonte che aveva solo poche navi e si doveva adattare a fare una guerra anche sul mare, senza alcuna preparazione. A Roma poi fu massima la sorpresa quando il governo inviò truppe contro l’Austria, mentre il Pontefice Pio IX  negava e disconosceva la guerra. Fu sorpresa a Napoli dove  Ferdinando prima dichiarò guerra all’Austria ed inviando truppe e navi in ritardo, pensava già come fare per richiamarle senza far sparare un solo colpo. All’epoca la Marina Austriaca si avvaleva dei porti di Trieste,  Capodistria, Pola e Fiume ma il porto principale era Venezia e per lo più, come abbiamo già detto la maggioranza  degli equipaggi era costituita da  veneti e dalmati. Il caso volle che alla data del 22 marzo solo pochissime unità erano in porto a Venezia, consentendo così all’Austria di mantenersi il grosso della marina. Veneti erano la maggioranza degli addetti all’arsenale. Erano in porto a Venezia due corvette da 24 cannoni e due brigantini da 16 cannoni che passarono dalla parte del governo Veneziano, ben diversa sarebbe stata la Storia di quella guerra se in porto a Venezia si fosse trovata la maggior parte della flotta. Non si pensò assolutamente a questo e quando qualcuno lo fece, fu fatto in modo  del tutto ingenuo in quanto gli ordini di richiamo alle navi comandate e servite da Veneti fu affidato ai comandanti delle navi  del Lloyd di Trieste che  portarono a Trieste da Venezia le truppe Austriache.  Il Lloyd era una società austriaca, pertanto nessuno consegnò i messaggi e nessuna nave rientrò a Venezia. Si deve sapere che in quel tempo nell’arsenale erano in costruzione una fregata da 40 cannoni, un brigantino da 16 cannoni, una goletta da 10 ed un piroscafo da 120 cavalli. Si trattava del famoso Pio IX che fu l’unico terminato ed utilizzato in squadra. Per il resto, tutto fu sospeso, non si pensò neanche di armare le navi mercantili presenti in porto in buona quantità si costruirono o si adattarono imbarcazioni come cannoniere da utilizzare solo in laguna. Tutto ciò dimostrava la mancanza in Venezia di un personaggio che comprendesse la necessità di una vera forza navale e ne conoscesse poi l’utilizzo. Il contrammiraglio Bua che comandava le quattro navi, se pur munito di tanta buona volontà non era all’altezza del compito per il quale era stato promosso. La forza Navale austriaca dopo un mese, sostituiti gli equipaggi fu in grado di annunciare il blocco navale della città che comunque non era assolutamente in grado di mantenere se solo i Veneziani avessero pensato ad approntare una forza equivalente. E ciò fu dimostrato quando all’orizzonte apparve la flotta Napoletana,le navi austriache si ritirarono ignorando che il comandante Napoletano aveva ricevuto l’ordine da Re Ferdinando di non aprire il fuoco se non su suo specifico ordine, salva l’evenienza di essere attaccato. La squadra Napoletana era la più moderna fra quelle che parteciparono alle operazioni navali, salpata ai primi di maggio, era composta da cinque navi a vapore armate,  da due fregate, una corvetta ed un brigantino, al comando dell’ammiraglio De Cosa. Lo stesso tipo di ordine era stato dato al generale Pepe, dal sovrano di Napoli, ma Pepe disubbidì, giunse a Venezia il 13 Giugno dove riorganizzò la difesa terrestre. Il Piemonte all’epoca non poteva certo essere definito una potenza sul mare e pur avendo acquisito  la ex Repubblica di Genova nel 1814, era ancora presto per approfittare dell’esperienza delle sue maestranze che pur applicate ad una buona flotta mercantile  avevano perso da anni l’esperienza di tradizioni guerriere. Nonostante tutto ciò la cantieristica Genovese fece miracoli ed in due mesi soltanto, allestì quattro fregate,  una  corvetta, due brigantini, e nove  navi a vapore delle quali due soltanto classificabili come  navi da guerra e le rimanenti come battelli da trasporto armati. L’arrivo dell’Albini al comando di questa piccola Squadra, a Venezia il 22 maggio 1848, dopo l’arrivo di quella Napoletana creò indiscutibile entusiasmo in quanto le tre flotte riunite, erano  nettamente superiori alla forza della Squadra Austriaca, inoltre l’ammiraglio Albini era l’unico ad aver ricevuto chiaramente l’ordine, di ricercare e distruggere la flotta Austriaca.

 

Le operazioni in mare

Il 3 maggio 1848, l’Austria pubblicava il bando del blocco navale di Venezia ma le sue navi all’arrivo della flotta Napoletana si erano ritirate, l’Albini appena giunto riunì gli ammiragli e li convinse ad effettuare un’azione congiunta contro la flotta Austriaca che navigava tra le foci del Piave e del Tagliamento. Quando le tre flotte riunite giunsero all’altezza della foce del Piave cadde completamente il vento, gli austriaci con tutte le navi a vapore rimorchiarono quelle a vela nel porto di Trieste sotto la protezione delle batterie costiere e dei forti così salvandosi dalla distruzione ma quella bonaccia se  provvidenziale per gli Austriaci, segnerà nel  tempo la fine di Venezia. Il giorno 23, le flotte italiane gettarono l’ancora, davanti a Trieste e fino al 28 non successe nulla se non che  i consoli di diversi stati della  Confederazione tedesca fecero sapere ai comandanti Italiani che eventuali atti di guerra contro il porto di Trieste, sarebbero stati considerati atti di guerra contro i loro Paesi. Tanto che neanche  le cannonate provocatorie sparate il 6 giugno da una fregata Austriaca ed il colpo di rimbalzo che colpì la San Michele convinse gli Italiani ad aprire il fuoco. L’11 giugno fu firmato dagli ammiragli Sardo e Veneto il Bando di blocco del porto di Trieste, ma non da quello Napoletano che già aveva ricevuto l’ordine di rientro  da parte di Ferdinando II. Il Bando di fatto restò quasi lettera morta in quanto sembrava che nessuno avesse voglia di sparare, molte navi con materiali strategici e truppe lo violarono, la flotta austriaca restò al sicuro in porto a Trieste fino a dopo l’armistizio  Salasco del 9 agosto. L’Albini rientrò a Venezia con la flotta e riuscì a trattenervisi fin oltre la partenza  dei  Regi commissari Colli e Cibrario e con l’ordine di trasportare in Piemonte via mare, il corpo di spedizione Piemontese comandato da La Marmora, costituito da circa 2000 uomini, gli riuscì di temporeggiare fino al 9 di settembre. L’Austria di conseguenza ripoclamò il blocco di Venezia ma non gli riuscì mai di attuarlo  completamente e non poté stroncare il  traffico costiero con i rifornimenti di viveri alla città, provenienti dallo Stato Pontificio. Alla fine di Ottobre, a causa  della mancata restituzione da parte Austriaca al Piemonte dei materiali di assedio di Peschiera,  la flotta Piemontese ritornò a Venezia  con una veloce puntata e successivo stazionamento in Ancona, dove restò fin dopo la battaglia di Novara, senza essere l’Albini, avvertito della ripresa della guerra. Nel frattempo la flotta veneta d’altura si era arricchita della presenza in squadra del Vapore Pio IX il quale inseguiva le navi austriache in alto mare e sparava contro di esse da eccessiva distanza e poi tornava a rifugiarsi in porto. Altrettanto strano il comportamento del rimanente della flotta veneta che non corse ad affondare il Vapore Austriaco Vesuvio incagliatosi alla foce dell’Adige, tanto che il giorno dopo addirittura due Vapori Austriaci disarmati corsero a disincagliarlo. Il Mazziniano Dell’Ongaro pubblicò sul giornale Veneziano Fatti e Parole  lo strano comportamento del Comandante del Pio IX che incrociato un mercantile austriaco lo cannoneggiò a distanza, senza fare danni e senza tentare di catturarlo, stante la totale assenza di altre navi austriache, ma la denuncia dei fatti valse al Dell’Ongaro, l’allontanamento dalla città L’8 agosto del 49 la flotta Veneta in forze tali da poter benissimo contrastare quella Austriaca, uscì in mare con lo specifico ordine di combattere, ma quando l’Austriaca si ritirò in alto mare, i Veneti rientrarono in porto il giorno 9, senza combattere. Correvano già voci di Corte Marziale ed accuse di tradimento, due giorni dopo quando la flotta veneta riprese il mare, ma rientrò nuovamente in porto, senza combattere, e non si mosse più fino alla resa. Come abbiamo potuto vedere la flotta veneziana pur essendo di una consistenza tale da  poter essere determinante nel conflitto operò poco e male agli ordini dell' ammiraglio Sardo Albini insieme alla flotta Sarda. Da sola, non fece mai nulla di significativo seppur gli equipaggi risultassero, ottimi ed agguerriti. Le flottiglie lagunari parteciparono, invece,  a tutte le sortite dei veneziani sul litorale, consentendo la cattura di prigionieri e vettovagliamenti, La Marina Lagunare, per più di un anno svolse sorveglianza, pattugliamento costiero; eseguì colpi di mano, il cambio delle guarnigioni dei forti della laguna o disseminati sulla terra ferma, ma tutto ciò  non può certo essere spiegato nel breve spazio di un articolo,  a noi preme comunque sottolineare il valore degli equipaggi che non ebbero un capo, un ammiraglio capace di guidarli. Mancò soprattutto il governo della Repubblica Veneta. Manin era solamente un modesto avvocato, Tommaseo era un buon professore universitario e conosciuto umanista. I ministeri della Guerra e della marina furono guidati da figure di secondo livello. Tutti dimenticarono che, la gloria e la salvezza della città, era nei secoli stata conquistata e difesa sul mare.  La mancanza del suo dominio visto che solo dal mare potevano giungere rifornimenti atti ad una difesa a tempo indeterminato, determinò la  caduta di Venezia.