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La fulgida vittoria italica di Malo-Jaroslavetz Napoleone stava facendo colazione sulla strada col Re di Napoli e con alcuni alti dignitari quando udiva il rombo del cannone dalla  parte di Malo-Jaroslavetz. Subito balzava in sella, mandando contemporaneamente l’ufficiale di ordinanza Gourgaud al viceré per ordinargli di mantenere ad ogni costo Malo-Jaroslavetz; aggiungeva che egli era in marcia per sostenere l’esercito d’Italia e prescriveva di assicurarsi la città collocando batterie a destra ed a sinistra di essa. Quindi il grande condottiero lanciava il cavallo al galoppo e giungeva presso Malo-Jaroslavetz poco dopo mezzogiorno, precedendo di pochi minuti le divisioni Gerard e Compans del 1° corpo.

Appena l’artiglieria italiana, con alti rimbombi, apre il fuoco, Eugenio ordina al reggimento dei cacciatori ed a quello dei granatieri della Guardia Reale di rinforzare la divisione Pino.

Quella meravigliosa fanteria si avanza, si arrampica risoluta, compatta, mentre d’ogni lato fischiano, rimbalzano le palle. Toccata la vetta, i cacciatori si arrestano un istante per riordinarsi; poi  il colonnello Peraldi, postosi alla testa del reggimento, brandendo la spada ed agitandola al di sopra del capo per richiamare l’attenzione, grida con voce ferma, sonora: “Non sparate, cacciatori, non sparate;la baionetta è l’arma della Guardia; alla baionetta, Italiani!”.

Lo splendido esempio del comandante avvolge in un’onda di entusiasmo i cacciatori, che a baionetta spianata, a passo di corsa, si avventano sui Russi, i quali attendono l’urto a piè fermo. Ma l’impeto dei nostri è troppo formidabile; dopo un breve tempestare di colpi da una parte e dall’altra, i nemici indietreggiarono disordinati, lasciando il terreno sparso di numerosi morti e feriti…

Imbruniva: Kutusof decideva di tentare uno sforzo supremo per strappare la città dalle tenaci mani italiane. Sostituiva perciò le truppe stanche e semidistrutte con elementi freschi, poderosi, e la battaglia acquistava nuovo vigore. Le schiere russe riescono a rovesciare le prime linee dei nostri e ad avanzarsi fino ai giardini dei sobborghi. Colà si serrano in una falange formidabile tutti gli Italiani, difendendo con accanimento  gli sbocchi della città dalla furia di un nemico numeroso, disciplinato e ferocemente inasprito dal lungo combattere. Ma il colonnello Peraldi non è uomo da contentarsi  della difensiva: raccolti gli avanzi del suo reggimento e della seconda colonna Pino, li forma in colonna serrata e li trascina contro il formidabile nemico.

“Rammentatevi - grida l’instancabile colonnello- che questa è la battaglia degli Italiani: o vincere o morire !”.

“ Si, si -fanno eco ad una voce  nostri magnanimi- o vincere o morire!”.

“ Tamburi, la carica” comanda un urlo fremente, tra il fragore delle schioppettate. Al rullo fragoroso, seguito dal lungo, terribile urrà  dell’assalto, il poderoso fiotto dei nostri straripa dai giardini, rovesciandosi luccicante di baionette sui nemici obbligandoli a ripassare il profondo burrone…

Colla giornata di Malo- Jaroslavetz, colla fulgida vittoria italica, si chiude il ciclo dei lieti successi  Napoleonici nella grandiosa campagna di Russia. Parve quasi che  l’angelo della vittoria prima di allontanarsi dalle aquile napoleoniche avesse voluto baciare in fronte i figli d’Italia, che combattevano e morivano  solo per l’altissimo meraviglioso sentimento del dovere: chi non riconosce oggi in quei remoti atleti delle più virtù militari i progenitori degli eroi che, tra i palmizi della Libia o sui flutti dell’ Egeo, rivelano la superba grandezza delle anime Italiane? Oh, davvero che il buon sangue non mente!                             

                                                                             Dalla Lettura, ottobre 1912