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STUDI RISORGIMENTALI

 

Genocidio Tratto da “Il rumore del silenzio” del Comitato TUTTA UN’ALTRA STORIA.

Movimento per l’Identità Nazionale.

 Foibe, campi di sterminio, fosse comuni, tombe senza nomi e senza fiori dove regna il silenzio dei vivi ed il silenzio dei morti.

Migliaia di scomparsi… dalla storia che attendono giustizia e verità. Scomparvero dalle loro case, dall’affetto dei loro cari, dalla loro terra, dalla Patria che tutti amavano al di là delle loro ideologie politiche.

Insieme vittime di un disegno criminale basato sull’odio etnico degli slavi e sull’ideologia marxista-leninista che saldarono il IX Corpus e le armate titine in un’unica fratellanza con i collaborazionisti italiani, rei di essersi macchiati del sangue dei fratelli, sacrificati sull’altare di un sogno utopistico di internazionalismo emancipatore dei popoli.

MOMENTI DI UNA TRAGEDIA

La  storia non è solo lo studio di date, di fenomeni, di battaglie, di interpretazioni, ma la visione di quell’eterno mosaico composto da milioni di tasselli che parlano di uomini e di donne con i loro dolori, le loro tragedie, i loro sogni, i loro affetti.

E’ per questo che i flash che accendiamo nel buio della galleria scura dell’ipocrisia e del silenzio creata in più di cinquant’anni di falsa storia vi sembreranno scarni, crudi, duri, ma vogliono ricondurre l’interpretazione della stessa lettura della vita, dei drammi e delle tragedie di migliaia di Italiani.

NORMA COSSETTO

 … Norma Cossetto era una splendida ragazza di 24 anni di S. Domenico di Visinada, laureanda in lettere e filosofia presso l’Università di Padova. In quel periodo girava in bicicletta per i comuni dell’Istria per preparare il materiale per la tesi di laurea che aveva per titolo “L’Istria rossa” (terra rossa per la bauxite).

Il 25 settembre 1943 un gruppo di partigiani irruppe in casa Cossetto razziando ogni cosa. Entrarono perfino nelle camere, sparando sopra i letti per spaventare le persone.

Il giorno successivo prelevarono Norma. Venne condotta prima nella ex caserma dei Carabinieri di Visignano dove i Capibanda si divertirono a tormentarla, promettendole libertà e mansioni direttive, se avesse accettato di collaborare e di aggregarsi alle loro imprese. Al netto rifiuto, la rinchiusero nella ex caserma della Guardia di Finanza a Parenzo assieme ad altri parenti, conoscenti ed amici tra i quali Eugenio Cossetto, Antonio Posar, Antonio Ferrarin, Ada Riosa vedova Mechis in Sciortino, Maria Valenti, Umberto Zotter ed altri, tutti di  S. Domenico, Castellier, Ghedda, Villanova e Parenzo. Dopo una sosta di un paio di giorni, vennero tutti trasferiti durante la notte e trasportati con un camion nella scuola di Antignana, dove Norma iniziò il suo vero martirio. Fissata ad un tavolo con alcune corde, venne violentata da diciassette aguzzini, ubriachi ed esaltati, quindi gettata nuda nella Foiba poco distante, sulla catasta degli altri cadaveri degli Istriani. Una signora di Antignana che abitava di fronte, sentendo dal primo pomeriggio gemiti e lamenti, verso sera appena buio,osò avvicinarsi alle imposte socchiuse. Vide la ragazza legata al tavolo e la udì, distintamente, invocare la mamma e chiedere da bere per pietà…

…Il 13 ottobre 1943 a S. Domenico ritornarono i tedeschi i quali su richiesta di Licia, sorella di Norma, catturarono alcuni partigiani che raccontarono la sua  tragica fine e quella di suo padre. Il 10 dicembre 1943 i Vigili del Fuoco di Pola, al comando del maresciallo Harzarich, recuperarono la salma: era caduta supina, nuda, con le braccia legate con il filo di ferro, sul cumulo di altri cadaveri aggrovigliati; aveva ambedue i seni pugnalati ed altre parti del corpo sfregiate. Emanuele Cossetto che identificò la nipote Norma, riconobbe sul suo corpo varie ferite d’arma da taglio; altrettanto riscontrò sui cadaveri degli altri.

Norma aveva le mani legate in avanti, mentre le altre vittime erano state legate dietro. Da prigionieri partigiani presi in seguito da militari italiani istriani, si seppe che  Norma, durante la prigionia venne violentata da molti.

Un’altra deposizione aggiunge i seguenti particolari “Cossetto Norma, rinchiusa da partigiani nella ex caserma dei Carabinieri d’Antignana, fu fissata ad un tavolo con legature alle mani e ai piedi e violentata per tutta la notte da diciassette aguzzini, Venne poi gettata nella Foiba.

… La salma di Norma fu composta nella piccola cappella  mortuaria del cimitero di Castellerier. Dei  suoi diciassette torturatori, sei furono arrestati e obbligati a passare l’ultima notte della loro vita nella cappella mortuaria del locale cimitero per vegliare la salma, composta al centro, alla luce tremolante di due ceri, nel fetore acre della decomposizione di quel corpo che essi avevano seviziato sessantasette giorni prima, nell’attesa angosciosa della morte certa. Soli, con la loro vittima, con il peso enorme dei loro rimorsi, tre impazzirono e all’alba caddero con gli altri, fucilati a colpi di mitra…”.

ZARA

“…Nelle giornate del 7 e 8 novembre 1944 ( Zara cadde in mano ai partigiani titini il 30 ottobre 1944) furono fatti uscire dai sotterranei della caserma "Vittorio Veneto" una ventina di agenti ed una trentina di civili ivi rinchiusi, e quindi, trasportati assieme ad altri venticinque  civili nell’isola di Ugliano. Dopo che  i partigiani accompagnatori hanno consumato il pasto e bevuto abbastanza,  invitano i primi venticinque a lasciare i loro abiti e rimanere solo con le scarpe, pantaloni e camicia. Dopo tale operazione sono avviati lungo un sentiero terminante in un precipizio a picco sul mare e qui massacrati come cani. I cadaveri finiscono nel burrone lì vicino. Liquidati i primi, i partigiani tornano indietro per eseguire la stessa operazione con gli altri. Difatti anche questi vengono invitati a togliersi i vestiti e a rimanere solo con gli stessi indumenti dei primi; inoltre, raccolti tutti i documenti ed ogni carta tenuta dagli agenti, si procede alla loro distruzione con il fuoco…” (doc. 12 Ministero Esteri)

FIUME

 “…avvennero arresti di antifascisti e fascisti, purché italiani. Per non fare lunghi elenchi di nomi voglio notare alcuni tra quelli completamente fuori da ogni movimento fascista. L’architetto Pagan, il quale, pur essendo dissenziente al movimento fascista, fu arrestato il giorno 3 di maggio. Fu arrestata pure la moglie di un ufficiale della Marina Italiana, combattente a fianco degli Alleati, nata Sennis. In seguito venne arrestata anche sua madre, la direttrice didattica Sennis. Altra persona arrestata fu Riccardo Bellandi, amatissimo per il suo buon cuore da tutti i fiumani…”.

SPALATO

 “… Le nefaste giornate vissute dagli italiani di Spalato durante la temporanea occupazione delle bande Serbo-comuniste resteranno dolorosamente scolpite nella mente di quanti hanno avuto la triste sorte di esserne testimoni oculari. Integerrime figure di patrioti italiani vennero barbaramente seviziate ed uccise.

Oltre quattrocentocinquanta furono le vittime cadute nell’eccidio compiuto dai banditi contro cittadini che altra colpa non avevano se quella di essere italiani. Le doloranti notizie che giungono dalla terra di Dalmazia sono quanto mai angosciose.. oltre all’eccidio dei maestri delle scuole di Spalato e di altri paesi dell’interno della Dalmazia, risultano uccisi il conte Silvio de Micheli Pitturi e l’avvocato Matteo Mirossevich, commissari comunali alla Castella, nonché il fiduciario del fascio di Castel  San Giorgio Mario Valich, gli squadristi Vincenzo Bilinich, Ben Radovnicovich, Antonio Bluk, Simeone  Signanovich, Antonio Bonacci, Stefano Zocchich, tale Craglich, i fratelli Vittorio e Michele Fiorentino e tanti altri. Pure sotto il piombo della furia omicida degli slavi, sono caduti vari commissari di Pubblica Sicurezza, assieme ad un ottantina di agenti.

Tra gli scomparsi figura anche il dottor Popov, il dottor Maiano, il dottor Castellini e il dottor Sorge. A Lissa è stato ucciso lo squadrista Petrossich, Giuseppe Trizch e la figlia del viceprefetto Lugher, che da Zara si recava a Spalato, sono stati anch’essi barbaramente assassinati.

Numerosi sono gli italiani i quali prima di essere uccisi hanno dovuto sottostare a crudeltà inaudite. A taluni sono stati strappati con delle tenaglie roventi gli orecchi, altri racchiusi in gabbie di ferro, sono stati esposti al ludibrio della plebaglia. A stroncare tale scempio sono sopraggiunte le truppe tedesche, che sono state costrette a combattere aspramente prima di aver ragione degli slavi che si erano asserragliati a Salona, la quale –data la violenza della lotta- è stata completamente distrutta…”

LA FOIBA DOVEVA  ESSERE LA SUA TOMBA

Riuscì a sopravvivere Giovanni Radeticchio di Sisano

Ecco il suo racconto:

“…addì 2 maggio 1945, Giulio Premate accompagnato da altri quattro armati venne a prelevarmi a casa mia  con un camioncino sul quale erano già i tre fratelli Alessandro, Francesco e Giuseppe Frezza nonché Giuseppe Benci. Giungemmo stanchi ed affamati a Pozzo littorio dove ci aspettava una mostruosa accoglienza; piegati e con la testa all’ingiù fecero correre contro il muro Borsi, Cossi e Ferrarin.

Caduti a terra dallo stordimento vennero presi a calci in tutte le parti del corpo finché rinvennero e poi ripetevano il macabro spettacolo, Chiamati dalla prigionia al comando, venivano picchiati da ragazzi armati di pezzi di legno. Alla sera, prima di proseguire per Fianona, dopo trenta ore di digiuno, ci diedero un piatto di minestra con pasta nera non condita. Anche questo tratto di strada a piedi e per giunta legati con del filo di ferro ai polsi a due a due, così stretti da farci gonfiare le mani ed urlare dai dolori. Non ci picchiavano perché era buio. Ad un certo momento della notte vennero a prelevarci uno ad uno per portarci nella  camera delle torture. Ero l’ultimo ad essere martoriato: udivo i colpi che davano ai miei compagni di sventura e le urla di strazio di questi ultimi.

Venne il mio turno: mi spogliarono, rinforzarono la legatura ai polsi, e poi, giù botte da orbi. Cinque manigoldi contro di me, inerme e legato, fra questi una femmina. Uno mi dava pedate, un secondo mi picchiava col filo di ferro attorcigliato, un terzo con un pezzo di legno, un quarto con pugni, la femmina mi picchiava con una cinghia di cuoio. Prima dell’alba mi legarono con le mani dietro la schiena ed in fila indiana, assieme a Carlo Radolovich di Marzana, Natale Mazzucca da Pinesi (Marzana), felice Cossi da Sisano, Graziano Udovisi da Pola, Giuseppe Sabatti da Visinada, mi condussero fino all’imboccatura della Foiba. Per strada ci picchiavano col calcio e con la canna del moschetto.  Arrivati al posto del supplizio ci levarono quanto loro sembrava ancora utile. A me levarono le calze (le scarpe me le avevano già prese un paio di giorni prima) il fazzoletto e la cinghia dei pantaloni. Mi appesero un grosso sasso, del peso di circa dieci chilogrammi, per mezzo di filo di ferro ai polsi già legati con altro filo di ferro e mi  costrinsero  ad andare da solo dietro Udovisi, già sceso nella foiba. Dopo qualche istante mi spararono qualche colpo di moschetto. Dio volle che colpissero il filo di ferro che fece cadere il sasso. Così caddi illeso nell’acqua della foiba. Nuotando, con le mani legate dietro la schiena, ho potuto arenarmi. Intanto continuavano a cadere gli altri miei compagni e dietro ad ognuno sparavano colpi di mitra.

Dopo l’ultima vittima, gettarono una bomba a mano per finirci tutti. Costernato dal dolore non reggevo più. Sono riuscito a rompere il filo di ferro che mi serrava i polsi, straziando contemporaneamente le mie carni, poiché i polsi cedettero prima del filo di ferro. Rimasi così nella Foiba per un paio d’ore. Poi, col favore della notte, uscii da quella che doveva essere la mia tomba.

CAUSA DI MORTE NELLE FOIBE

(Studio medico-legale eseguito su centoventuno infoibati, recuperati nel dopoguerra R. Nicolini e U. Villasanta, sotto l’egida dell’Istituto legale e delle Assicurazioni dell’Università di Pisa. Direttore F. Domenici)

“… La causa mortis può essere stata:

1.     Proiettili d’arma da fuoco, di solito sparati al cranio;

2.     Precipitazione dall’alto con gli effetti che ne derivano: fratture multiple, commozione, shock traumatico grave, embolia, ecc.

3.     Trauma da corpo contundente (bastone, calcio di fucile, bottiglie, eec.) o acuminato con conseguente fratture;

4.     Questi diversi momenti variamente combinati, sia come cause sovrapposte, sia come concorrenti.

L’effetto, cioè la morte, non deve essere stato necessariamente immediato: è ammissibile anche che, nonostante ferite e traumi, la morte sia avvenuta a distanza di tempo o per sete o per fame…”.