Tant’odio il petto agli stranieri incende
Del nome italian, che di quel danno
Onde nessuna gloria in lor discende,
Sol perché nostro fu, lieti si fanno.
Molte genti provàr dure vicende,
E prave diventàr per lungo affanno;
Ma nessuna ad esempio esser dimostra
Di tant’odio potria come la nostra.
E questo avvien perché quantunque doma,
Serva, lacera segga in isventura,
Ancor per forza italian si noma
Quanto ha più grande la mortal natura;
Ancor la gloria dell’eterna Roma
Risplende sì, che tutte l’altre oscura;
E la stampa d’Italia, invan superba
Con noi l’Europa, in ogni parte serba.
Né Roma pur, ma col mental suo lume
Italia inerme, e con la sua dottrina,
Vinse poi la barbarie, e in bel costume
Un’altra volta ritornò regina;
E del goffo stranier, ch’oggi presume
Lei dispregiar, come la sorte inchina,
Rise gran tempo, ed infelici esigli
L’altre sedi parer vide a’ suoi figli.
Senton gli estrani, ogni memoria un nulla
Esser a quella ond’è l’Italia erede;
Sentono, ogni lor patria esser fanciulla
Verso colei ch’ogni grandezza eccede;
E veggon ben che se strozzate in culla
Non fosser quante doti il ciel concede,
Se fosse Italia ancor per poco sciolta,
Regina torneria la terza volta.
Tratto dal canto I dei "Paralipomeni della
Betracomiomachia"